Innovazione, fame e follia.

Innovazione, fame e follia.

Un Servizio Sociale dovrebbe andare in una sola direzione: essere alimentato dalla cultura da eterna startup, innovativo, sempre. Definiamo qualche mantra: di fronte a sfide sempre diverse pensa differente, cambia il mondo, fame e follia. Le teorie che sono dietro questa impostazione sono ben note al mondo profit.

Ma chi gestisce un Servizio Sociale crede, forse, di vivere in un mondo dalla concorrenza imperfetta. Non si compete per le quote di un dato mercato, c’è sempre chi paga, tutto viene perché siamo bravi e solidali. La pensavano così anche imprese e organizzazioni sociali che gestivano la cooperazione alimentare, le piccole coop del territorio e le cooperative edilizie? Probabilmente si, ed oggi è tutto scomparso, o quasi, nel giro di un decennio.

Un dato è certo: se tutti sanno fare quello che fanno gli altri, i profitti sono prossimi allo zero. Quindi non si investe, non si sperimenta, non si innova. Nel mondo reale,  invece, si compete per la creazione di nuovi mercati: che li inventa, questi nuovi mercati, li controlla per qualche tempo e gode di profitti elevati, fino a che non arrivano altre aziende che li copiano; quindi per restare profittevoli, se deve continuare a innovare.

Ma nel sociale sono possibili innovazioni radicali? Gli ambiti nei quali cercare non mancano. I robot? I device biologici? L’interfaccia immersiva?

Le Università potrebbero dire qualcosa. I Sociologi pure. Ma dato che l’ultima innovazione radicale dei Servizi Sociali sono state le Badanti, forse le Teorie dovrebbero osare di più per precedere la pratica quotidiana.

Ma certamente, prima o poi, qualcuno uscirà con «la prossima grande cosa», con i prossimi salti di paradigma.

Sarebbe, paradossalmente, una vera rivoluzione in un contesto in piena decrescita, dalla natalità, al tenore di vita, dei salari alla felicità media, che l’unica cosa che cresce fosse la chiave dell’innovazione: l’età media della popolazione.

Essere anziani, la vecchiaia, i 30 anni che separano la pensione della morte, sono lo stesso numero di anni di vita dai 30 ai 60 anni. Il tempo che serve per caratterizzare una Vita.

Questi 30 anni, dai 60 ai 90, sono una risorsa? un pistone per il motore della crescita? Certo, oggi sono rappresentati sulle panchine del parco, o nel migliore dei casi la Nonna fa il minestrone e il Nonno l'orto. I vecchi son il fardello dei giovani. 

Ma quanto varrebbero 30 anni di vita da ridistribuire nella società. Forse il vero Welfare generativo è questo: oggi si rende all'anziano quanto ha raccolto, possiamo e chiedere di rigenerare quanto sa, responsabilizzare 30 anni di vita e redistribuire?

Per lavorarci occorrerebbe quel tanto di follia che riporterebbe alla cronaca una frase di Steve Jobs: «Quelli che sono abbastanza pazzi da pensare di poter cambiare il mondo, ci possono riuscire»


Cooperativa Sociale dal 2018